Sulle tag e la street art concettuale

Autori

  • Elisa Caldarola

DOI:

https://doi.org/10.4454/philinq.v9i2.368

Parole chiave:

street art, tags, conceptual art

Abstract

Il punto di partenza di questo articolo è costituito da due punti di vista. Da un lato, due affermazioni generali sulla street art: in primo luogo, che tutte le opere di street art sono sovversive (si veda, ad esempio, Bacharach 2015; 2018; Chackal 2016; Baldini 2015; 2016; 2017; 2018; Willard 2016), secondo, che le opere di street art sono il risultato di atti di auto-espressione (Riggle 2016). Dall'altro lato, una visione molto più specifica su alcune tag contemporanee prodotte, approssimativamente, negli ultimi vent'anni: tali tag sono opere d'arte, anche se non sono presentate, principalmente, per l'apprezzamento delle proprietà estetiche fondate sulle loro proprietà percettive, perché sono opere di street art concettuale (cfr. Lewisohn 2010; JAK 2012). La domanda chiave dell'articolo riguarda le “very early tags” (VET) - le tag estremamente semplici e disadorne che sono apparse per la prima volta alla fine degli anni Sessanta e che alcuni studiosi considerano come i predecessori storici delle varie pratiche che oggi raggruppiamo sotto la categoria “street art” (si veda, ad esempio, Young 2014; Gastman et al. 2015): dobbiamo considerare le VET come opere d'arte? Da un lato, gli autori di IFP tendono a rispondere negativamente a questa domanda. D'altra parte, già all'inizio degli anni Settanta, artisti e intellettuali come Norman Mailer e Gordon Matta-Clark sembravano ritenere che fosse appropriato considerare arte sia le VET sia le tag successive, pur non difendendo questa affermazione con argomentazioni.

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Pubblicato

2021-08-02

Fascicolo

Sezione

Focus